Autore: Grazia Deledda
Anno: 1913
Pagine: 184
<<Ma perché questo, Efix dimmi tu, tu che hai girato il mondo: è da per tutto così? Perché la sorte ci stronca così, come canne?
<<Sì>> egli disse allora, <<siamo proprio come le canne al vento, donna Ester mia. Ecco perché! Siamo canne, e la sorte è il vento.>>
<<Sì, va bene: ma perché questa sorte?>>
<<E il vento, perché? Dio solo lo sa.>>
Può l’essere umano vedere svelato il grande segreto di ciò che avverrà nel futuro? Tutti sappiamo che non è possibile prevedere gli eventi e che per quanto l’uomo possa sforzarsi di guidare l’andamento degli accadimenti nella sua vita, ci sarà sempre qualcosa di non previsto a scombinare qualsiasi pianificazione o intenzione. L’insignificanza e la caducità della natura dell’uomo è semplicemente un dato di fatto, anche per chi considera la forza di volontà il centro indiscusso dell’esperienza dell’uomo sul nostro pianeta. Provare inquietudine o disorientamento potrebbe sembrare la conseguenza più ovvia, eppure la nostra realtà può essere sottoposta ad infinite chiavi di lettura che potrebbero farci scoprire aspetti spesso poco considerati.
“Canne al vento” di Grazia Deledda è il romanzo perfetto per esplorare queste tematiche.
Attraverso il racconto delle vicende della famiglia Pintor, la Deledda riesce a rappresentare egregiamente la fragilità umana e l’insignificanza dell’esistenza. L’uomo è una canna fortemente radicata nel terreno ma quando il vento diventa più intenso, la canna si piega inesorabilmente al suo volere proprio come accade con la sorte per l’esistenza umana. Dobbiamo piegarci, tutte le volte che qualcosa che non volevamo irrompe nelle nostre vite, e non importa se avevamo fatto programmi o immaginato un futuro diverso, se la vita decide per noi dobbiamo semplicemente chinare il capo e andare avanti.
Il romanzo
Nella Sardegna arcaica e tradizionalista degli inizi del Novecento, l’anziano servo, Efix, lavora al servizio delle tre dame Pintor, ultime eredi di un’antica famiglia nobiliare, caduta ormai in povertà. L’esistenza delle tre sorelle è scandita dallo svolgimento triste e grigio degli eventi, dove il presente è diventato una semplice estensione del passato. Gli stessi gesti, gli stessi rituali e gli stessi comportamenti di sempre mantengono viva l’illusione di essere ancora aggrappate agli antichi ma ormai perduti fasti della loro famiglia.
Donne tenaci e spinose, cresciute da un padre burbero e severo, quando le tre nobili erano ragazze hanno costantemente vissuto assoggettate all’autorità paterna, alla quale non sono mai riuscite a ribellarsi.
“Donna Lia, pallida e sottile come un giunco, affacciata al balcone con gli occhi fissi in lontananza a spiare […] cose c’ era al di là, nel mondo.”
Lia, la quarta sorella, è l’unica a rifiutare quella vita così vuota e priva di libertà. Lei vuole conoscere il mondo e capire cosa c’è al di là di quella finestra. Sognando terre lontane, decide di fuggire in piena notte gettando suo padre e la sua famiglia nella disperazione più totale. L’onore delle sorelle è ormai distrutto e questo non fa che accrescere l’irascibilità e ferocia paterna verso le altre figlie. Per via di questo evento inaspettato infatti, Ruth, Ester e Noemi non possono più trovare marito, mentre Lia, che intanto si tiene in contatto con loro per rassicurarle, sposa colui che loro considerano un plebeo, incontrato in un modo così triste e vergognoso.
Dopo tanti anni, il figlio dell’ormai defunta Lia, Giacinto è quel figliol prodigo che decide di tornare dalle sue zie, dove sua madre viveva, portando inizialmente gioia e allegria, per poi invece rivelare il suo carattere avido ed egoista. I debiti accumulati dal giovane, piombano in casa Pintor come una sventura e così le tre dame si ritrovano, ancora una volta, ad essere vittime degli eventi. Per saldare i debiti accumulati dal nipote, ormai vergognosamente fuggito, Noemi è infatti costretta a vendere anche l’ultimo appezzamento di terra rimasto.
Mentre i protagonisti sono messi alla prova dal vento che prova in tutti i modi a spezzarli, la Natura offre il suo meraviglioso spettacolo facendo da cornice a tutte le vicende: “il mare che luccicava tra le dune argentee”, “la pianura ondulata con le macchie grigie delle sabbie”, “i monticoli sopra i paesetti”, “la luna piena che imbiancava la valle”.
Troppo bella la natura anche se spesso può rivelarsi così ostile. Di questo fanno esperienza i personaggi, portandosi dietro un fardello che diventa sempre più difficile da sopportare.
Il senso di colpa
Efix, tra tutti, è colui che porta il fardello più pesante. È stato lui tempo addietro ad uccidere involontariamente il violento don Zame, padre delle tre dame. Quando Lia aveva deciso di fuggire, Efix aveva agevolato la sua fuga, essendo di lei segretamente innamorato, ragion per cui don Zame, una volta scoperto il tutto, aveva tentato una pesante aggressione nei confronti del servo. La colluttazione aveva portato malauguratamente alla morte del padrone e così Efix aveva deciso di portare con sé questo segreto ed espiare la sua colpa servendo le tre sorelle fedelmente fino alla morte, senza ricevere in cambio alcun pagamento.
Il senso di colpa accompagna Efix per tutta la sua vita. Anche quando Giacinto arriva inaspettatamente in casa delle sue tre zie, portando tristezza e sventura, Efix continua a farsi carico di tutti i problemi della famiglia e a sentire sulle sue spalle il peso di tutti i fallimenti dei Pintor.
Efix è il simbolo della bontà umana e della vita dedicata agli altri. Le sue mani lavorano incessantemente per proteggere con amore e dedizione le persone che ama. E questo non accade solo per via del delitto commesso anni addietro ma soprattutto perché in lui possiamo vedere la piena realizzazione delle virtù della natura umana. Umile e discreto, Efix non vuole mai disturbare, vuole solo essere colui su cui si può sempre fare affidamento, come da cane fedele quale è sempre stato. E così, la piccolezza del ceto sociale a cui appartiene diviene grandezza immensa quando si guarda l’animo di questo eroe gentile sempre pronto a tendere la mano.
L’uomo fragile può essere felice?
Siamo come canne al vento dice Grazia Deledda: ci pieghiamo al volere della sorte accettando mestamente il concatenarsi degli eventi. Allo stesso tempo, però, l’autrice ci offre un’alternativa a questa verità rendendola vivida attraverso gli occhi del servo Efix, protagonista della sua storia.
Le canne sono radicate nel terreno e per quanto il vento possa essere forte e impietoso, esse non si spezzano. L’uomo non è solo una futile vittima degli eventi. A sua disposizione, ci sono innumerevoli armi da poter usare per rendere l’esistenza meno amara: una su tutte è certamente l’amore. Fare della propria vita un inno all’amore significa porsi come obiettivo il raggiungimento del bene altrui, a dispetto di qualsiasi calamità o evento funesto. Le tre dame Pintor quasi non fanno caso all’amore che Efix dimostra loro ogni giorno, salvo poi rivalutarlo una volta perduto. Cosa ne sarebbe stato di loro se non avessero avuto il loro umile servo costantemente al loro fianco? E cosa saremmo noi senza l’amore di chi amiamo?
L’unica via di fuga dalla realtà è la possibilità di affrontare gli eventi inaspettati a testa alta, circondandoci di persone armate di coraggio e amore incondizionato. Anche se spesso non riflettiamo su quanto di buono abbiamo attorno a noi, quel bene infinito è sempre presente. Il mondo è pieno di eroi gentili che lavorano a testa bassa per costruire un futuro migliore. La verità è che di Efix ne è pieno il mondo.
L’autrice: Grazia Deledda
Grazia Deledda (Nuoro, 28 settembre 1871 – Roma, 15 agosto 1936) è stata una scrittrice italiana, vincitrice del premio Nobel per la letteratura nel 1926.
Tra i suoi romanzi più importanti ricordiamo:
Elisa Portolu
L’edera